sabato 4 aprile 2009

Cronaca di una maratona bagnata (prima parte)

Le previsioni parlavano chiaro da diversi giorni: la 6° maratona di Treviso sarebbe stata bagnata. E così è stato.
La pioggia ha iniziato a cadere sabato pomeriggio e ha contribuito ad alimentare il nervosismo. Nervosismo iniziato per un fastidioso mal di schiena che da qualche giorno mi portavo avanti e che per fortuna Luca è riuscito a farmi passare con un massaggio.
Ma veniamo a domenica. Essendo l'ultima domenica di marzo, bisogna spostare le lancette indietro di un'ora. Non so da quanto tempo aspettassi questo momento. Forse da sempre. Ma non ci ho mai provato veramente. Ho sempre fatto altri sport, quelli più classici. Oggi, invece, a 33 anni compiuti, mi trovo a coronare il sogno di una vita. Correre una maratona. Correre per 42 chilometri e 195 metri..... Parlando con gli amici, quando salta fuori che vorrei fare una maratona, che mi alzo alle 6 la mattina per andare a correre prima di andare a lavorare, o mi prendono in giro, oppure pensano che sono tutto matto.
Beh, se fosse vero, oggi 29 marzo 2009, qui a Vittorio Veneto ci sono 3500 matti, che sono ancora più matti perché piove. E a Treviso piove ancora di più, almeno così dice lo speaker. Ma ormai ci siamo: Massimo, Marco, io e altre 3497 persone. Altri 3497 matti che lo sembrano ancora di più, oggi, perché per ripararsi dalla pioggia usano di tutto: io un sacchetto delle immondizie aderente con un buco per la testa e due per le braccia. Marco uguale a me, ma il suo non è aderente. Massimo, invece, un solo buco per la faccia, tutto il resto è dentro il sacco.
Per fortuna non piove tante, adesso, alle 9.30. In compenso siamo chiusi dentro a delle gabbie. Quando nel regolamento avevo letto che bisognava entrare nelle gabbie entro le 9.30, mi aspettavo qualcosa più simile ad uno zoo, invece si tratta di semplici recinzioni.
Intanto il tempo passa, e la pioggia non penetra oltre il mio sacco delle immondizie. Qualcuno inizia a spogliarsi... lo spazio per lo stretching non c'è. E anche se ci fosse, non lo farei, credo, sono troppo impegnato a guardarmi intorno. A guardare le altre 3500 persone che sono là come me. Ogni tanto due chiacchiere con i compagni di avventura e poi la decisione di Marco di partire ad una andatura più cauta, insieme a Massimo.
Gli ultimi mesi di allenamento sono serviti per fissare il ritmo di gara: 5'20" a km. Marco e Massimo inizieranno a correre a 5'40": a questo punto è meglio gettarsi da soli al proprio ritmo oppure correre aiutato dai compagni?
Ho fatto la scelta sbagliata, quella che ho rimpianto nei momenti di difficoltà. A pochi minuti dalla partenza Massimo che ci fa unire la mani di tutti per l'ultimo in bocca al lupo.
Da lì seguono diversi compattamenti del gruppo, si avanza di qualche metro. Sta per iniziare, i pensieri sono così tanti nella mia mente che non li ricordo. Mia moglie e i bambini che non ci saranno all'arrivo a causa del tempo. Idem per i miei genitori e amici vari... ma forse qualcuno mi farà un sorpresa. Sicuramente al 35° km ci sarà mio suocero che con la protezione civile segue la corsa.
E la corsa inizia: si parte piano, il gruppo è numeroso. Mi tolgo il mio sacchetto delle immondizie, lo butto a bordo strada, colpendo qualcuno, temo, ma non ne sono sicuro. L'ultimo saluto ai compagni di corsa e poi subito a caccia del mio pacer, anzi dei miei pacer, perché sono tre le persone che posso seguire per arrivare puntuale all'arrivo. Con i loro palloncini bianchi già sgonfi prima di partire. Passo sotto il cartellone della partenza (quasi 1 minuto dopo il via, ma lo scoprirò solo diverse ore dopo). Le braccia in alto nel caso il fotografo scatti proprio in quel momento dall'alto. E poi inizio a vedere una cosa che non mi aspettavo, a cui non avevo più pensato da quanto avevo saputo dalle previsioni che avremmo corso sotto l'acqua: il pubblico. C'erano delle persone venute là a vederci partire. Con l'ombrello, a bordo strada, a incitarci. Loro battevano le mani a noi.
Noi c'eravamo allenati per mesi a quel giorno, avevamo pagato con settimane di anticipo, avevamo fatto la visita medica per esserci. Ma loro? Loro potevano starsene a casa all'asciutto, magari anche in letto. Invece erano a bordo strada a battere le mani.
Se avessi potuto avrei battuto io le mani a loro per tutta la strada: non eravamo noi quelli bravi, ma loro, ad essere là.
E in quel momento ho scoperto che non sarebbe stata la stanchezza ad accompagnarmi lungo tutta la corsa, ma le emozioni. Emozioni emanate da quel pubblico bagnato che batteva le mani, bagnandosi ancora di più. Urlando quasi senza voce.
Più volte ho rischiato di scoppiare a piangere... non ho provato spesso tali emozioni, e non avrei mai creduto di provarle in una corsa.
In ogni caso la corsa continua e i pacer non aspettano nessuno, giustamente. La strada è larga, ma alla prima rotonda, dopo neanche un chilometro, bisogna trovare il modo di non restare schiacciati. Siamo in tanti, va veramente in tanti. Sorpassi da tutte le parti: ogni tanto si apre un piccolo passaggio e ci si infila per guadagnare qualche metro verso i pacer.
Il mio corpo inizia a non apprezzare l'abbigliamento: canottiera tecnica, maglietta tecnica manica lunga e giubbino parapioggia traspirante. Ho caldo e sudo. Non va bene. Tiro su le maniche, poi le tiro giù, poi abbasso la cerniera del giubbino: non piove molto ma c'è tanto umido. Sono abbastanza inquieto. Mi ricordo il consiglio di Massimo di non vestirsi troppo, e mi pento: questo sarà l'unico momento in cui mi pentirò dell'abbigliamento. Non appena quella macchina fantastica che è il corpo umano si regola, sto bene e son contento di avere un minimo di protezione dalla pioggia.
Intanto passa il primo chilometro: siamo ancora a Vittorio Veneto. C'è ancora pubblico, non tanto, ma si fa sentire e fa crescere le emozioni che devo soffocare. A tratti riconosco la strada, quella fatta centinaia di volte per andare in montagna da mio nonno.
Poi prendiamo in direzione Treviso, ovviamente: la conosco meno, ma l'ho fatta qualche volta. I chilometri passano, e inizio a fare fatica. Eppure corro subito dietro ai pacer. Chiedo al mio vicino, fornito di Garmin 305 (che invidia) come stiamo andando: previsione di chiudere in 3h30'. 3h30'??? Già il primo chilometro in meno di 5 minuti e i due successivi poco più lenti. Probabilmente era nei piani dei pacer partire un po' più forti, oppure nei primi chilometri c'è poco da fare: ti infili dove puoi e vai al ritmo che il fiume di corridori ti permette di fare. In ogni caso il ritmo cala, mi pare 6 minuti il quarto o il quinto chilometro, poi si stabilizza intorno i 5'15".
Senza pensarci mi ritrovo al primo ristoro: solo liquidi, niente solidi. Non ho sete, e sono sufficientemente bagnato... però chiunque se ne intenda un po' sa che bisogna comunque bere e mangiare in ogni occasione possibile. Per cui prendo la mia bottiglietta d'acqua e inizio a bere correndo. E' più quella che esce dalla bocca che non quella che entra: non voglio perdere i pacer per cui non rallento per bere.
I primi chilometri son passati veloci. Ascolto distrattamente le conversazioni di chi corre vicino a me, penso a tanti allenamenti di cui solo uno sotto la pioggia. Faccio un checkup del mio corpo e sento il ginocchio sinistro "strano": mi sembra quasi gonfio. Ogni tanto tocca l'altro ginocchio e lo guardo per vedere se il gonfiore si nota ed è visibile: però sembra tutto normale. Prababilmente è tutta suggestione.
Controllo la schiena: nessun problema. Il massaggio di Luca di ieri pomeriggio è stato veramente un miracolo.
Al chilometro 7,5 c'è lo spugnaggio: al vederlo molti ridono e scherzano con chi ci propone le spugne e penso al blog di un maratoneta che ha corso la scorsa edizione. C'era un gran caldo e diverse persone sono state male: oggi non c'è quel rischio, ma forse è meglio così che con il sole che ti cucina.
Mi risveglio dai miei pensieri e temo di aver perso i pacer: ma sono là davanti, ormai le mie gambe hanno memorizzato l'andatura e non difficilmente la cambiano. Però ne manca uno: manca uno dei pacer. Ecco perché ce ne sono tre, perché anche loro sono esseri umani. E come tutti anche loro si fermano a fare pipì recuperando il gruppo senza grossi sforzi.
Siamo in tanti a correre a quell'andatura, siamo ancora in tanti. Il pubblico legge a voce alta i tempi dei palloncini: la maggior parte delle persone credo che non capisca subito il significato. Però fanno il tifo e tengono alto il morale. Danno una carica incredibile.
Sto correndo una maratona... il sogno di una vita, ormai nessuno mi può fermare. A tratti mi sento fortissimo e vorrei anche aumentare, a tratti la pioggia aumenta e mi vien voglia di rallentare e aspettare Marco.
Faccio due chiacchiere con un ragazzo di Cervia, anche lui con il 305. Quella mattina lui e il suo amico non hanno sentito la sveglia e hanno perso il treno per Vittorio Veneto. Ci facciamo compagnia fino all'arrivano a Conegliano: lì il ristoro ci separa ma l'ho cercato e controllo per tutta la corsa: è sempre stato là davanti a me, fino a pochi chilometri dall'arrivo.

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